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Il terremoto corre sul 5G

Belli questi titoli acchiappa-complottisti, eh? 😉

No, tranquilli.
Non stiamo insinuando nessuna correlazione tra il 5G e i terremoti.
Che poi, parlandoci chiaro, non sarebbe meno sensata di quelle con i vaccini, con il coronavirus o con più o meno imprecisate “morie di volatili”.

Stiamo parlando invece di un progetto di Google.
Ma andiamo con ordine. Partiamo da ShakeAlert… cosa è?

ShakeAlert

ShakeAlert® é un sistema di allerta precoce per i terremoti gestito dal U.S. Geological Survey (l’USGS è un po’ l’equivalente statunitense del nostro Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia).

ShakeAlert opera una rete di sismometri (sensori in grado di rilevare la presenza di attività sismica) lungo tutta la costa occidentale degli Stati Uniti.
Ricordiamo che quella zona, ed in particolar modo la California, è una zona densamente popolata e molto sismica, in quanto si trova sulla cosiddetta faglia di Sant’Andrea, un “punto” di frizione tra la placca nordamericana e quella pacifica.

Tutti i ricercatori sono purtroppo concordi nell’affermare che, in quella zona, la probabilità che ci sia un terremoto catastrofico nei prossimi anni è elevatissima.
Gli hanno già dato un soprannome, “The Big One” (“Quello Grosso”).

Google, che ha il suo quartier generale proprio nella California del Sud, a Mountain View, non poteva restare indifferente a questo problema.

Il sistema ShakeAlert, con la sua rete di sismometri, tutti collegati ad un centro di elaborazione, riesce a rilevare in maniera molto efficiente i terremoti, a elaborarne epicentro e intensità e a mettere a disposizione degli avvisi in tempo reale.

Come è possibile?

Per capirlo dobbiamo fare una piccola digressione e capire come si propaga la forza distruttrice del terremoto.
Chiedo venia in anticipo ai geologi e sismologi che dovessero trovarsi a leggere questo articolo 🙂 ma ho ovviamente dovuto fare delle (necessarie) semplificazioni.

Un terremoto si propaga principalmente con due tipologie di onde, le onde P e le onde S.

Propagazione delle onde P
Propagazione delle onde S

La velocità con cui si propagano dipende dal tipo di terreno in cui ci troviamo, ma possiamo considerare dei valori medi.

  • Le onde P, quelle più veloci, viaggiano a oltre 7 km al secondo;
  • Le onde S, più lente ma decisamente più distruttive, viaggiano a oltre 4 km al secondo.

Sembrano velocità molto alte, in effetti.

Ma dobbiamo paragonarle con una rete di telecomunicazioni attuale, ovvero dobbiamo capire quanto ci vuole a trasmettere un’informazione tra due sistemi attraverso la rete Internet.
Prendiamo ad esempio il cosiddetto Ping Time (ovvero il tempo di viaggio di un “pacchetto” internet) tra Los Angeles e San Diego.
Stiamo parlando di circa 200 km che vengono coperti, in media, in meno di 3.8 millisecondi, ovvero 0.0038 secondi.
Cioè, reggetevi, quel pacchetto viaggia ad una velocità di oltre cinquantaduemila km al secondo!

La cosa non dovrebbe stupire, in quanto, giusto per paragone, a “bordo” di Internet riusciamo a fare mezzo giro intorno al mondo (ad esempio da Roma ad Auckland, in Nuova Zelanda) in meno di un terzo di secondo (circa 0.324 secondi in media).

Quindi la velocità dei sistemi di telecomunicazione e, analogamente, di quelli informatici (per la parte di elaborazione) riesce fortunatamente a “battere”, e di gran lunga, la velocità di propagazione dei terremoti.

Quindi un sismometro che si trova vicino all’epicentro di un ipotetico terremoto è in grado di inviare in “tempo reale”, ovvero in un tempo molto inferiore a quello di propagazione del terremoto stesso, un segnale al centro di elaborazione.

Ed è qui che entra in gioco Google.

Il messaggio di allerta risultante infatti, viene propagato agli smartphone Android che si trovano nella zona d’interesse che mostreranno quindi un messaggio di questo tipo:

Direttive Drop, Cover, Hold. (© Google Blog, 2020)

Il messaggio invita appunto ad abbassarsi, trovare riparo e afferrare la struttura sotto cui ci si ripara, secondo le direttive del California Office of Emergency Services.

Il sistema ShakeAlert funziona in configurazione “ufficiale” (ovvero dopo diversi anni di funzionamento in modalità di test) dal 17 ottobre 2019 e Google ha iniziato a “rilanciare” i messaggi di allerta su tutti i telefoni Android a partire dall’11 agosto 2020.
Dopo la California si sono recentemente aggiunti Oregon e Washington, completando tutta la costa occidentale.
Purtroppo sembra che Apple non sia molto interessata alla cosa, almeno secondo una recente intervista a Doug Given, coordinatore del progetto ShakeAlert per USGS.

Prestazioni

Ma quali sono le prestazioni del sistema?
In pratica, quanti secondi di preavviso riusciamo a spuntare prima che le pareti inizino a tremare?

Il sistema ha una soglia di attivazione, fissata al 5 grado della scala Richter.
Questo per evitare che messaggi di allarme vengano mandati anche per piccole scosse non pericolose ed anche perché, paradossalmente, il tempo di preavviso più grande si ottiene per i terremoti più potenti: quest’ultimi si propagano più lontano e il messaggio “informativo” guadagna molto più “terreno” rispetto alla forza distruttiva dell’onda sismica.

Questa premessa è necessaria perché, dopo l’entrata in funzione definitiva del sistema, gli allarmi si sono attivati solo il 5 luglio del 2019 (quindi prima del collegamento con Google), in occasione delle scosse più intense nella cosiddetta sequenza Ridgecrest. Fortunatamente direi.

Sequenza Ridgecrest al 10 luglio 2019, © Southern California Earthquake Center

I due terremoti più forti di quella sequenza, rispettivamente di 6.4 e 7.1 gradi della scala Richter, hanno generato degli allarmi che sono arrivati con ben 45 secondi di anticipo sulle onde S delle scosse.
I nostri calcoli sono esatti: Ridgecrest è una località che si trova più o meno a 200 chilometri dall’oceano e quindi le onde S (che, ricordiamolo, viaggiano a circa 4 km/s) hanno impegnato una cinquantina di secondi (forse anche meno) per raggiungere le zone costiere, quelle più densamente popolate. Le informazioni e il messaggio di allerta, è semplice calcolarlo per differenza, ci hanno messo meno di 5 secondi.

Purtroppo però, proprio perché la collaborazione con Google ancora non era attiva, gli allarmi sono arrivati solo ai pochi utenti di un’applicazione specifica.

Google vuole e può far da sé

Tutto questo è eccezionalmente bello e funzionale. E soprattutto, come si può ben capire, dannatamente utile.

Ma presuppone l’esistenza di una rete di sismometri, tutti collegati in tempo reale ad un centro di elaborazione.

Ovvio che quindi questo sistema non può essere replicato in tutto il mondo. Questo è veramente un problema, perché esistono altre zone altamente sismiche, densamente popolate ma prive un sistema di allerta precoce così raffinato come quello degli Stati Uniti.

Al solito la soluzione è davanti ai nostri occhi o, più probabilmente, nelle nostre tasche.

Ogni smartphone moderno è dotato infatti di un accelerometro che, fatte le dovute proporzioni per quanto riguarda accuratezza ed efficienza, è essenzialmente analogo ad un sismometro.

Ma a cosa serve un accelerometro in uno smartphone?
A misurare gli spostamenti a cui il telefonino è sottoposto, ad esempio. Insieme al suo compagno inseparabile, il giroscopio, è in grado di fornire sempre una posizione del dispositivo rispetto all’ambiente che lo circonda.
Può aiutarci a contare i nostri passi o a capire l’orientamento dello schermo del telefonino stesso, in modo che il nostro video su YouTube assuma la forma più adatta.

Come abbiamo detto, però, gli accelerometri degli smartphone sono molto meno precisi e soprattutto sono sottoposti a vibrazioni (un sismometro é fissato in modo solidale al terreno, mentre i telefonini, per definizione, stanno in tasca, su un tavolo, su un’auto…).

Ma hanno un indubbio vantaggio. Ce ne sono moltissimi! E sono, per definizione, tutti connessi in rete (che sia 5G o meno).

Google è sicuramente uno dei leader in quello che si chiama il settore dei Big Data, cioè l’analisi (in questo caso in tempo reale) di un numero impressionante di dati, sia per frequenza temporale che per numero di sorgenti.

Non solo, Google ha anche molte competenze, per usare un eufemismo, nel Machine Learning: in pratica, non deve “insegnare” ai suoi sistemi come riconoscere un terremoto, ma può far sì che gli stessi sistemi, analizzando i dati a posteriori, siano in grado, in modo autonomo, di apprendere la correlazione tra i dati forniti dagli accelerometri dei telefonini e la presenza (o meno) di un’onda sismica.
Imparare dalla storia passata per riconoscere gli eventi del presente.

E’ proprio per questo che, ad esempio, in occasione della scossa di terremoto avvenuta a Milano il 17 dicembre 2020, a chiunque cercasse notizie relative al sisma su un dispositivo mobile nell’area milanese è apparsa una richiesta del genere:

In pratica Google chiedeva un riscontro “umano” per poi affinare i propri algoritmi.

Il progetto è ormai oltre la fase di debutto.
Google ha infatti annunciato ad aprile scorso l’attivazione di Android Earthquake Alerts System in tutto il mondo, a partire dalla Grecia e dalla Nuova Zelanda.
I prossimi paesi ad essere attivati, e che sono attualmente in fase di test, saranno Kazakistan, Repubblica del Kirghizistan, Filippine, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan.
Nel corso del 2022 ne è prevista l’attivazione a livello globale.

Le notizie appena arrivate dal lato turco del Mar Egeo fanno ben capire come questa tecnologia può seriamente salvare molte vite umane anche se, al momento, in Turchia, fortunatamente, non si segnalano vittime.

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